Il mercato: c’era grande attesa dopo la campagna acquisti estivi di Macua, la più imponente del nuovo millennio sia per numero di giocatori comprati (sette) che per entità dei costi. Tirando le somme, si può senza dubbio affermare che il mercato del neo-presidente è stato un mezzo fallimento. Escludendo i promossi
Iraizoz, che purtroppo resterà fuori fino al termine della stagione, e il cavallo di ritorno
Aitor Ocio, artefici principali della ritrovata sicurezza difensiva, bisogna a malincuore prendere atto che i due veri “colpi” dell’estate biancorossa,
David Lopez e
Del Horno, hanno avuto una resa lontana anni-luce dalle aspettative che si erano create su di loro. Il centrocampista riojano è finora lontano parente del buon giocatore visto l’anno scorso nelle fila dell’Osasuna: raramente crea superiorità sulla fascia, non rifornisce adeguatamente le punte di cross decenti ed è latitante pure nelle conclusioni da fuori, una delle sue specialità. Insomma, una delusione totale che un paio di buone prestazioni nelle ultime uscite non riescono ancora a riscattare. Asier, altro figliol prodigo, è tornato in prestito alla casa madre dopo le sfortunate esperienze di Londra e Valencia; annunciato come il pezzo forte del mercato e atteso da tutti a far risplendere la fascia sinistra come ai bei tempi, è partito titolare ma ha finito per perdere il posto nel giro di poche partite, travolto dai pettegolezzi sulle sue uscite notturne e soprattutto da delle prestazioni non all’altezza del proprio valore. Il beneficiario delle magre figure di Asier è stato
Koikili Lertxundi, che a inizio stagione segnalavo come possibile rivelazione (ancora Del Horno non era stato preso) e che, tra lo stupore degli addetti ai lavori, si è ritagliato un ruolo sempre più importante all’interno della squadra, finendo per far sua con pieno merito la maglia di titolare. Piccolo, sgraziato, Koi non ha nemmeno un terzo della classe di Asier, tuttavia sopperisce alla mancanza di tecnica con una grinta e una capacità di applicazione strepitose, caratteristiche che lo portano spesso ad essere tra i migliori in campo per l’Athletic. Koi è sicuramente il miglior acquisto dell’anno per il rapporto qualità/prezzo, visto che è stato preso per pochi spiccioli dal Sestao River (squadra di Segunda B) ed è adesso un punto fermo nell’undici di Caparros. Un discorso a parte meritano gli ultimi due nuovi biancorossi,
Muñoz e
Cuellar. Il primo, arrivato a parametro zero dall’Osasuna, è un rincalzo che può tornare utile di tanto in tanto e il suo acquisto è inquadrabile nell’ottica di dare un’alternativa alla coppia di mediani Orbaiz-Javi Martinez; il secondo, invece, è stato impiegato col contagocce da Jokin nelle prime uscite, poi si è infortunato ed è sparito dal giro dei convocati, almeno finora. L’utilità dell’incorporazione dell’ex giocatore del Nastic resta un mistero, visto che il suo ruolo (esterno destro) era già coperto nella rosa e la qualità del giocatore non è tale da giustificare un investimento di denaro da parte di un club perennemente sull’orlo della crisi economica. Riassumendo, abbiamo due giocatori pagati fior di quattrini che hanno reso secondo le aspettative (Iraizoz e Ocio), un “colpo di mercato” rivelatosi più che deludente (David Lopez), una sorpresa pagata due lire (Koi), un parametro zero visto poco o nulla (Muñoz), un desaparecido (Cuellar) e un prestito ai limiti dell’inutilità (Del Horno). Direi che è abbastanza per bocciare la campagna di rafforzamento voluta dal presidente, che peraltro ha mancato di sopperire al “buco” più evidente della rosa biancorossa, ovvero una punta. L’addio a giugno di Urzaiz ha lasciato un vuoto importante nella squadra, che ha perso uno dei pochi giocatori capaci di portare gol alla causa dell’Athletic; nomi in giro c’erano (Ezquerro, Joseba Llorente, Diaz de Cerio) ma evidentemente non sono stati presi troppo in considerazione. Risultato: i Leoni sono copertissimi in alcuni ruoli (ci sono, ad esempio, tre terzini destri e altrettanti trequartisti destri) e piuttosto poveri di giocatori in altri, cosa tanto più grave quanto più si considera che le squadre della Liga possono essere formate tassativamente da 25 giocatori (con la possibile integrazione di alcuni elementi della seconda squadra) e che quindi bisogna programmare ogni acquisto con la massima accortezza.
Caparros e il gioco dell’Athletic – una disamina tattica: non c’è dubbio che la new entry più attesa fosse lui, Joaquin Caparros da Utrera, il tecnico che, nei sogni e nelle speranze di ogni tifoso, doveva riportare l’Athletic nelle zone nobili del calcio spagnolo. L’euforia iniziale era molta, così come le aspettative createsi intorno alla squadra anche a seguito di precise dichiarazioni del mister (“Non siamo inferiori a Espanyol o Villarreal”, ebbe a dire dopo qualche giornata di Liga), ma tutto ciò sta lentamente svanendo man mano che le settimane passano e il nome del nostro club continua a ristagnare nei bassifondi della classifica, in virtù di un attacco asfittico e di un gioco, diciamola tutta, spesso ai limiti dell’inguardabilità. Che Caparros non fosse un fan della scuola offensivista si sapeva, così come era ben nota la propensione delle sue squadre a dare il massimo contro avversari che attaccano molto e tengono in mano il pallino del gioco; non ci siamo infatti stupiti più di tanto, dopo averle analizzate a mente fredda, di fronte alle affermazioni ottenute ai danni di Valencia e Siviglia, squadre di qualità superiore che hanno però affrontato l’Athletic nel modo più congeniale per i biancorossi, ovvero facendo possesso palla sin dalla loro trequarti e scoprendosi non poco quando venivano in avanti. Ai Leoni è bastato pressare alto, chiudere gli spazi e condurre in porto un paio di contropiedi per portarsi a casa due successi belli e meritati, che hanno rappresentato il punto più alto della Liga fin qui disputata; troppa gente, però non ha tenuto conto di alcuni fattori, quali ad esempio la crisi spaventosa di cui sono tuttora preda i levantini – che, by the way, hanno perso praticamente con tutti negli ultimi mesi -, le moltissime assenze con cui il Siviglia si è presentato a Bilbao, che hanno costretto gli andalusi a giocare praticamente senza attacco, e il succitato atteggiamento tattico con cui le due squadre ci hanno affrontato. Se il giochino è riuscito solo con loro, un motivo ci sarà. Il Real Madrid, ad esempio, ha sì rischiato di capitolare, affidandosi più volte a San Iker, ma non ha mai concesso ripartenze agevoli ai biancorossi, né si è messo a giochicchiare nella propria trequarti senza costrutto; quando acceleravano, gli uomini di Schuster andavano dritti in porta, e non a caso sono usciti dalla Catedral con i tre punti. Insomma, anche il gioco prediletto da Caparros (spazi chiusi, pressing alto e contropiede) in fin dei conti non ha poi portato tutti i punti che ci aspettavamo. E questa è la parte positiva. Le note dolenti, ahimè, iniziano quando l’Athletic deve fare ciò che la gente, pagando il biglietto, vorrebbe vedere: giocare a calcio. La squadra basca si è resa fin qui protagonista di prove a volte patetiche, a volte inguardabili, più spesso semplicemente confuse, e questo è accaduto ogni volta che si è trovata ad affrontare squadre organizzate e che non le hanno mostrato il fianco. Basta una difesa organizzata e un’intelligente occupazione degli spazi per mandare in crisi i Leoni, che giocano pochissimo con la palla a terra e ancora si affidano ai lanci dalle retrovie verso l’attaccante-boa. La colpa dei pochi gol segnati viene arbitrariamente data alle punte, ma la triste realtà è che gli attaccanti possono contare su un numero davvero esiguo di palloni puliti, su cui peraltro arrivano spesso annebbiati a causa dello sfiancante lavoro spalle alla porta che sono costretti a sobbarcarsi; non credo che Joseba Llorente o Diaz de Cerio segnerebbero di più in queste condizioni. Isma era un’altra cosa, lui riusciva a metterci una pezza anche con un solo cabezazo, ma Urzaiz è un fuoriclasse e quelli di cui si parla, con tutto il rispetto, non gli legano nemmeno una scarpa. Discorsi sulle punte a parte, il vero problema è un altro, ovvero che quello dell’Athletic è un non-gioco caratterizzato dall’assenza quasi totale dei movimenti senza palla e dalle difficoltà enormi nel fraseggio basso. Guardare una partita dei biancorossi è come assistere ad un match di Subbuteo: i giocatori sono bloccati nelle loro posizioni, statici come se avessero una base tondeggiante al posto delle gambe, e la cosa migliore che sanno fare è quella di sparare palloni in avanti a casaccio. I terzini si sovrappongono pochissimo, i centrocampisti centrali non si inseriscono mai, nemmeno per tentare la conclusione da fuori (qualcuno si ricorda un gol dell’Athletic segnato quest’anno con un tiro da lontano?), le ali raramente si scambiano o tentano l’entrata e gli attaccanti sembrano incollati al limite dell’area avversaria. Logico, quindi, che i pochissimi gol segnati contro difese schierate arrivino per qualche iniziativa dei singoli o su situazioni di palla inattiva; altri modi non ci sono, questa squadra semplicemente non è in grado di trovarli. Iraola, da anni il miglior laterale spagnolo, quest’anno avrà crossato una decina di volte in tutto e finora non ha segnato nemmeno una rete in Liga, lui che con Valverde ne metteva 5-6 a stagione giocando da fluidificante. Altro caso eclatante quello di Javi Martinez, potenzialmente un centrocampista completo, un tuttofare capace di spezzare il gioco altrui come di finalizzare quello della propria squadra, che quest’anno ha compiti esclusivamente di rottura e che si inserisce una volta ogni 10 gare. Più in generale, si può dire che questo modo di giocare non sfrutti nemmeno il 50% delle potenzialità dei calciatori biancorossi e in particolar modo dei centrocampisti, che pure avrebbero grandissime qualità e che formano un reparto di gran lunga superiore a quelli di squadre che ci precedono in classifica. Una linea mediana che può mettere insieme un regista di qualità assoluta (Orbaiz), una grande promessa del calcio iberico (Javi Martinez), due ali di buon livello (David Lopez e Susaeta) e un fantasista dalla classe purissima (Yeste) è più da squadra medio-grande che da candidata alla lotta per non retrocedere…se, però, il centrocampo viene saltato sistematicamente o non si fa movimento senza palla, la bontà di questi elementi resta tale solo sulla carta. Nel contesto di un calcio come quello iberico, le alternative principali per il gioco offensivo sono due: il possesso palla prolungato in attesa del taglio giusto o la verticalizzazione rapida, sugli esterni o per vie centrali, in grado di portare il pallone in area avversaria nel giro di pochi passaggi. L’Athletic non fa niente di tutto ciò. La squadra di Caparros tiene pochissimo la palla, giocandola peraltro solo in orizzontale – una goduria per chi difende -, e non sa effettuare quelle transizioni veloci in grado di ribaltare il fronte del gioco in pochi secondi. I Leoni si affidano al contropiede se attaccati e al lancio lungo se devono attaccare, ed il loro unico schema veramente efficace è la pressione sulle respinte della difesa altrui, le cosiddette “seconde palle”, la cui conquista può sempre originare qualcosa di pericoloso vista la distanza ridotta dalla porta avversaria; di più non riescono a mettere in mostra. In mancanza di sovrapposizioni, il gioco sulle fasce significa uno contro uno tra il nostro esterno e il terzino avversario, fatto che riduce drasticamente il numero dei cross che si vedono nel corso di un match. Il dialogo palla a terra, poi, sembra vietato per legge, e la mancanza di movimento rende le distanze tra reparti abissali. Catastrofismo? Può darsi. I risultati, però, non mentono: delle cinque vittorie stagionali, l’Athletic ne ha ottenute una contro una squadra di zombie, il già retrocesso Levante, due contro avversarie che hanno fatto il nostro gioco (Valencia e Siviglia), una contro il Recreativo, che fa fatica a segnare persino a porta vuota, ed una immeritata a Valladolid, andando subito in vantaggio e potendo perciò giocare di rimessa. Contro squadre come Almeria, Racing, Getafe, Maiorca, Osasuna e Murcia, che a parer mio hanno tutte un organico inferiore al nostro, abbiamo al massimo ottenuto un pareggio. In casa abbiamo vinto appena due volte, uno dei peggiori score nella storia del club, e abbiamo segnato col contagocce. Abbiamo conquistato un solo rigore e pochissime punizioni dal limite in 20 partite, segno che arriviamo raramente nei pressi dell’area avversaria col pallone a terra. Un caso? Non credo. L’idea che Caparros non sia il tecnico giusto per la rifondazione biancorossa inizia a serpeggiare con sempre maggior intensità tra i tifosi, corroborata da un inizio di girone di ritorno davvero pessimo; a Jokin il compito di smentirci, sia attraverso i risultati che, cosa altrettanto importante, con l’espressione di un gioco finalmente all’altezza del passato glorioso della nostra squadra.
I più e i meno: in un club che fa dei giovani della cantera il proprio vanto, non poteva che essere un prodotto di Lezama la maggior sorpresa di questo girone d’andata. Markel
Susaeta Laskurain, detto “la perla”, è il nome completo di questo ragazzino terribile che con i suoi dribbling e i suoi gol ha divertito i tifosi biancorossi molto più di certi compagni già affermati. Nel Bilbao Athletic giostrava spesso da trequartista centrale, mentre Caparros l’ha proposto con continuità sulla fascia destra, dove il suo gioco elettrico, fatto di accelerazioni improvvise e costante ricerca dell’uno contro uno, ha dato una ventata d’aria fresca alla manovra banale e stantia dei Leoni. Il tecnico di Utrera ne ha saggiamente dosato l’utilizzo, anche perché Susaeta ha attraversato un fisiologico periodo di appannamento, tuttavia adesso è tornato ad inserirlo stabilmente nell’undici titolare, riconoscendone l’importanza per l’Athletic; era molto tempo che un cachorro non aveva questo impatto sulla prima squadra e, pur senza scomodare paragoni con Julen Guerrero, si può affermare di avere un bel gioiellino tra le mani. Un gradino sotto a Markel nel ruolo di sorpresa stagionale, ecco Koikili, di cui ho già parlato in apertura. Detto anche di Iraizoz e Aitor Ocio, bisogna segnalare la grande stagione che sta facendo fin qui
Amorebieta, insuperabile di testa, molto bravo in marcatura e capace finalmente di limitare il numero delle entrate violente e scomposte (ogni tanto, però, ci ricasca).
Iraola è affidabile e positivo come sempre, nonostante le consegne di attraversare la metà campo solo in casi eccezionali. Con
Yeste sembra sempre di essere sulle Montagne Russe: a volte ci fa volare altissimi, altre ci fa precipitare nella disperazione, ma è innegabile che senza di lui l’Athletic perda un buon 50% del suo potenziale offensivo, nonché le poche risorse di imprevedibilità e fantasia su cui può contare. Era partito col botto
Etxebe, efficace sotto porta e atleticamente brillante, poi è andato progressivamente calando prima di finire fuori a causa di un infortunio. Ritengo sempre
Gabilondo un anonimo operaio del pallone e nulla più, tuttavia il calcio sparagnino di Caparros, fatto di poche proiezioni e molti ripiegamenti, si adatta perfettamente alle sue caratteristiche e le sue prestazioni discrete lo testimoniano.
Sono molte le note dolenti, a cominciare da Del Horno e David Lopez di cui ho già parlato. Male
Aduriz, 4 gol nelle prime giornate e poi il nulla; il gioco lo penalizza, però anche lui ci mette del suo, sbagliando talvolta gol elementari. Malino
Llorente, che ha abbagliato tutti con la doppietta di Valencia per poi tornare a deprimere con prestazioni deficitarie dal punto di vista realizzativo, nonostante alcuni progressi incoraggianti rispetto alle scorse stagioni. Non mi sta piacendo la coppia di mediani
Orbaiz-
Javi Martinez, spesso fuori dal gioco e capace di fare la voce grossa solo nel recupero della palla, mai però nell’impostazione del gioco. Deludente
Aranzubia, insicuro e spesso fischiato dal pubblico: che sia giunta al termine con questa stagione la sua avventura in Biscaglia?
Giudizio in sospeso per tutti gli altri, utilizzati molto poco da Caparros. Da notare solo una ritrovata fiducia del tecnico verso
Garmendia, uno degli elementi tecnicamente più interessanti dell’intera rosa dell’Athletic.