lunedì 23 maggio 2016

Agur Gurpe, Capitano immortale.



Che strana carriera hai avuto, Carlos. Quante cadute, quante resurrezioni. Quanti insulti dagli avversari, quanto amore da parte della tua gente. Una dicotomia continua, lunga quanto la tua vita sportiva.
Troppo facile il paragone con la fenice, che comunque risorgeva una volta ogni 500 anni. La mitologia ne fornisce uno all’apparenza illogico ma, in fondo, calzante: l’Idra. Il mostro dalle infinite teste. Staccagliene una e ne ricresceranno due, tenta di indebolirla e la rafforzerai. E però destinata alla sconfitta, destino fatale di tutti: il tempo, non Eracle, ha infine avuto ragione dell’Idra navarra, schiacciandole l'ultima testa sotto il masso inesorabile dell’età. Mi si dirà: un mostro per rappresentare il migliore di tutti, il Capitano? Sì, e per due ragioni: perché le città di Spagna, novelle Lerna, sono stare per anni terrorizzate da lui, tutte tranne quella che difendeva; e perché in fondo l’Idra era un mostro solo per coloro che volevano vederlo a quel modo. Qualcuno ha mai chiesto le sue ragioni? Qualcuno ha voluto comprendere il diverso? Come l’Idra era amata solo da Era, che l’aveva allevata, così Gurpe è stato amato solo dalla gente di Bilbao, che lo ha accolto come un figlio. E tanto è bastato a entrambi.
Carlos Gurpegi Nausia arriva a Bilbao nel 1998, proveniente dalla cantera dell’Izarra. Centrocampista centrale di proiezione offensiva o trequartista, dopo una stagione in doppia cifra al Basconia (30 presenze, 15 reti) passa al Bilbao Athletic e viene riconvertito in mediano: ha piedi piuttosto ruvidi, ma anche una straordinaria capacità di strappare palloni agli avversari, due polmoni infiniti e una generosità pari solo alla resistenza fisica. Un perfetto interprete del ruolo di mastino di centrocampo, con tutte le caratteristiche tecniche e mentali per diventare da subito un idolo di San Mamés. L’esordio in prima squadra arriva il 31 marzo del 2002, dopo due ottime stagione al Bilbao Athletic in Segunda B; la partita contro il Villarreal è sfortunata (il Submarino Amarillo dilaga 5-2), ma per Carlos è l’inizio di un’avventura pazzesca. L’anno successivo è in campo da titolare alla prima di campionato, che guarda caso coincide col derby basco tra Athletic e Real Sociedad: Gurpegi la gioca tutta, la gioca bene e segna una doppietta nel 4-2 finale per i txuriurdin. Subito dopo il match si sottopone al controllo antidoping; tre mesi dopo, il 4 dicembre del 2002, la doccia fredda. L’inizio del calvario. La federazione notifica infatti all'Athletic la positività di Carlos al norandrosterone, un metabolita del nandrolone, confermata in seconda battuta dalle controanalisi. Per 5 anni Ibaigane e Madrid combattono a suon di ricorsi e carte bollate: il club sostiene che il giocatore produca spontaneamente un livello più alto del normale di norandrosterone, la federazione rifiuta questa tesi (insieme alle prove portate dal collegio difensivo del navarro) e chiede una squalifica di due anni. Nel maggio del 2005 l’Agenzia Mondiale Antidoping dirama una comunicazione ufficiale nella quale invita a effettuare speciali test di stabilità in presenza concentrazioni di nandrolone inferiore ai 10 ng/l, come nel caso di Carlos; peccato però che i suoi campioni di urina siano già stati distrutti. Nel 2007 la squalifica diviene effettiva, ed è solo una soddisfazione morale sapere che il norandrosterone verrà poi depennato dall’elenco delle sostanze dopanti. Gurpe finisce ai margini, impossibilitato perfino a giocare le amichevoli, ma ambiente e società non lo abbandonano: il suo posto in rosa viene lasciato vacante e non viene mai ventilata la possibilità di tagliarlo, anche solo per qualche mese. Il rientro, il 27 aprile del 2008, è una festa di popolo: tutta Bilbao celebra Carlos e quel nuovo inizio. Niente però è facile come sembra. Il numero 18 paga l’inattività e fatica a riprendere il proprio posto in squadra, assestandosi nell’undici titolare solo alla fine della stagione 2008/09, e quando tutto sembra andare per il verso giusto sono agli infortuni a tormentarlo; particolarmente pesante quello al ginocchio patito a ottobre del 2011 (il primo anno di Bielsa), che gli impedisce di prendere parte all’esaltante cammino della squadra in Coppa del re e in Europa League. Ed è davvero paradossale notare come uno dei giocatori più rappresentativi dell’Athletic contemporaneo non sia sceso in campo in nessuna delle quattro finali disputate negli ultimi anni dai Leoni: oltre alle due già ricordate, infatti, il navarro è rimasto in panchina anche nelle due finali di Copa contro il Barcellona del 2008/09 e del 2014/15. Cadere, rialzarsi, cadere ancora, tornare di nuovo in piedi. Gurpegi chiude il cerchio e si prende la rivincita sul destino giocando il ritorno della vittoriosa Supercoppa di quest’anno; è lui dunque ad alzare il primo trofeo vinto dai biancorossi dopo un digiuno di più di 30 anni.
Un risarcimento, anche se parziale, per un atleta che ha fatto della dedizione alla causa bilbaina la sua stella polare. Sempre in prima linea, sempre con un comportamento esemplare. Mai ha reagito agli insulti che, dopo la squalifica, gli sono stati riservati in quasi tutti i campi della Liga (“tossico” il più carino); mai ha rilasciato dichiarazioni polemiche nei confronti del club e dell'allenatore di turno, neppure quando ha perso lo status di titolare inamovibile. Per lui hanno sempre parlato i fatti, attraverso i quali ha mostrato di essere un uomo, prima che un capitano, davvero straordinario, il principale punto di riferimento dello spogliatoio negli ultimi anni.
Inutile dire che ci mancherà. Quando un pezzo di storia come Carlos Gurpegi se ne va, ogni innamorato della zurigorri perde un po’ di cuore. Diventerà un dirigente, forse un allenatore. Con quel carisma sarebbe il minimo. Vederlo in giacca e cravatta dirigere undici leoni dalla panchina di casa del San Mamés, invece, sarebbe davvero il massimo.

martedì 18 agosto 2015

Txapeldunak!


Alzala, Carlos!

Nel 1984 Indiana Jones lottava contro i Thug nel "Tempio Maledetto", i Ghostbusters andavano per la prima volta a caccia di fantasmi a New York, Sergio Leone salutava il cinema con "C'era una volta in America", i bambini di tutto il mondo volavano sulle ali di Falkor ne "La storia infinita" e l'Italia rideva per le battute fulminanti di due comici diversissimi ma ugualmente geniali, riuniti insieme in un piccolo capolavoro chiamato "Non ci resta che piangere". Mentre i ragazzini consumavano monetine giocando a Tetris, 1942 e Bomb Jack, nelle sale giochi risuonavano in continuazione le note ammiccanti di Like a Virgin, quelle potenti di Born in the U.S.A. e quelle geniali di Radio Ga Ga. Sui campi di calcio i giocatori indossavano magliette dal tessuto pesante e senza sponsor, scarpe rigorosamente nere e pantaloncini molto corti. Fu in quell'anno, in un'epoca quasi preistorica rispetto a oggi, che l'Athletic Club alzò la sua ultima Coppa del Re. Sconfisse il Barcellona di Maradona e Schuster con un solitario gol di Endika, eroe di una serata mai più confermatosi a quei livelli. Fu il doblete per la squadra di Clemente, che sembrava nel pieno di un'epoca d'oro destinata a durare ancora per molti anni. E invece, da allora nessun calciatore zurigorri era più riuscito a sollevare un trofeo... almeno fino a ieri.
Ciò che è successo poche ore fa al Camp Nou di Barcellona non è la semplice conquista di un trofeo. Il riassunto perfetto lo ha fatto un tifoso bilbaino col suo striscione: "31 años esperandos, con 2 cojones". 31 anni. Un tempo lunghissimo, un'astinenza quasi infinita nel calcio, sport che vede rinnovarsi stagione dopo stagione i propri albi d'oro, sempre pronto a dimenticare perfino l'oggi per gettarsi subito nel domani. 31 anni. Quando Gurpegi ha alzato la Supercoppa 2015, la seconda a finire nella bacheca del club, lo ha fatto idealmente per tutto il popolo athleticzale. Per gli idoli del passato che non hanno potuto fregiarsi di alcun titolo; per quei giocatori che sono andati via, in cerca di soldi e gloria, e ieri hanno forse rimpianto per un istante di non poter festeggiare a Bilbao con tutta la città; per chi non è potuto scendere in campo, come Williams e Muniain, e ha sofferto in tribuna; per tutti quei ragazzi che non avevano mai visto la scritta "Txapeldunak" (campioni, in euskera) sul balcone del Municipio; per chi ha vissuto le annate peggiori della storia recente della squadra, quelle in cui la salvezza era l'unico trofeo alla sua portata; per chi vive lontano da Euskal Herria, soffre da lontano e non può neppure festeggiare con i suoi compagni di tifo. Per tutti.
Questa Supercoppa ci risarcisce di anni di delusioni, finali sfumate e sfortuna. La vera vittoria dell'Athletic è non tradire i suoi valori, ma i trofei aiutano senza dubbia a perpetuare la filosofia del club senza che i soliti materialisti sollevino dubbi sulla sua efficacia. Ieri c'è stata una risposta chiara e forte alla domanda che ogni tanto riemerge: ma il modello Athletic paga? Sì, paga. Perché a meno di chiamarsi FC Barcelona o Real Madrid, vincere qualcosa in Spagna è maledettamente difficile. Chi ci prova finisce spesso per indebitarsi, dura al massimo qualche stagione e poi sprofonda. L'Athletic invece è sempre lì, come un mollusco tenacemente attaccato al suo scoglio nonostante le maree, a mostrare al resto del mondo che si può resistere, brillare e addirittura vincere restando fedeli a sé stessi.
Il capolavoro tecnico-tattico di Valverde e dei suoi ragazzi, favorito nel match di andata dall'atteggiamento arrogante dei culé (che evidentemente pensavano di uscire indenni dal San Mamés anche con le riserve, per poi asfaltare i baschi nella partita di ritorno), è già leggenda. Un 4-0 al Barça dei marziani non è cosa di tutti i giorni e quella partita finirà direttamente nel Pantheon zurigorri, accanto a tutte le imprese più belle compiute in un secolo e rotti di esistenza. Ieri la squadra è stata altrettanto perfetta: ha giocato con freddezza, si è difesa come da manuale del gioco e non ha perso la testa nei momenti difficili. Aggiudicarsi la Supercoppa senza perdere neppure una delle due partite e alzarla nello stadio degli avversari sono altri due tasselli di un'impresa memorabile.
A chi dice che la Supercoppa è un trofeo minore, che conta poco più di un triangolare agostano, rispondiamo che è tale solo per chi la perde. I blaugrana ci tenevano, eccome: i tifosi hanno riempito il Camp Nou e i giocatori non si sono risparmiati per tenere aperta la porta alla conquista dei sei titoli in un anno solare, impresa riuscita solo al vecchio Barça di Guardiola. Le loro facce a fine partita erano inequivocabili. Così come le nostre: sarà una supercoppetta, ma per noi basta e avanza. Le faremo posto nel museo biancorosso, tra le 24 Coppe del Re, gli 8 trofei di Liga e l'altra Supercoppa. Spero che chi di dovere la metta bene in evidenza: coi tempi che corrono, vincere un trofeo seguendo una filosofia tanto particolare come quella dell'Athletic vale più o meno come una Champion's League, specie se capita contro la squadra più forte del mondo. Nel nostro cuore, Gurpegi e i suoi compagni saranno per sempre i Supercampioni del 2015.

domenica 19 luglio 2015

Gaizka Toquero, la Locomotiva biancorossa.



I soprannomi contano molto, soprattutto nel calcio. Se giochi in uno dei club più antichi e prestigiosi del mondo e i suoi tifosi, da sempre molto esigenti, ti chiamano Lehendakari (il titolo di governatore di Euskadi) ciò significa una cosa sola: che te lo sei meritato.
La carriera di Gaizka Toquero è allo stesso tempo particolare e paradigmatica. La filosofia unica dell'Athletic, oltre a valorizzare i giovani della cantera e un intero movimento calcistico, talvolta dà delle opportunità impensate a giocatori che altrimenti avrebbero visto la Primera solo col binocolo; basta un momento di magra in un determinato ruolo e giocoforza elementi di livello medio-basso si trovano catapultati in prima squadra solo perché si trovano al posto giusto nel momento giusto. Ciò comunque non implica il successo: un conto è procurarsi un'occasione, un altro riuscire a sfruttarla appieno. Esistono i Casas (le sue 64 presenze in Liga restano tuttora inspiegabili) e i Toquero: non proprio la stessa storia.
Gaizka Toquero arriva al grande calcio piuttosto tardi, a 24 anni. Nato a Vitoria, cresce nell'Ariznabarra, squadra minore della sua città, e passa per le giovanili di Real Sociedad e Alavés senza riuscire a sfondare. Nel 2006 gioca in Segunda B nel Lemona, senza segnare alcun gol. L'anno successivo passa al Sestao River, storico club bizkaino, e lì cambia per sempre la sua vita. Nel corso di un triangolare precampionato con l'Athletic viene infatti notato da Joaquin Caparros, allora tecnico dei Leoni, un fedelissimo del 4-4-2 al quale non concede alcuna deroga; tanto per capirsi, con lui in panchina un fantasista delizioso come Yeste deve dividersi tra il ruolo di regista basso e quello di esterno sinistro. A Caparros serve come il pane una seconda punta di movimento da affiancare a Llorente, ormai inamovibile come centravanti. Dopo la cessione di Aduriz, l'andaluso ha ben poche frecce al suo arco: Ion Vélez è oggettivamente inadatto alla Primera, Iñigo Vélez è una controfigura del riojano, mentre Joseba Garmendia, veloce e dalla buona tecnica, è incostante e più centrocampista che punta. Jokin, com'è stato ribattezzato a Bilbao, osserva con grande attenzione quel ragazzo quasi calvo che corre come un dannato e lotta su ogni pallone. I piedi sono quel che sono, tuttavia di testa sa farsi rispettare e col suo movimento continuo è una spina nel fianco per i due centrali, che se lo ritrovano fra i piedi ogni volta che provano a impostare. A fine partita il mister dice ai suoi collaboratori che è un peccato che quel giocatore così interessante sia troppo vecchio, ma viene subito corretto: non ingannino la pelata e il viso scavato da uomo vissuto, l'attaccante ha 23 anni. L'Athletic lo preleva a fine campionato e lo gira in prestito all'Eibar, in Segunda, per testarlo in un campionato più probante. Nella prima parte della stagione le sue prestazioni con gli armeros sono buone, dunque i biancorossi decidono di ripescarlo nel mercato di gennaio visto che Caparros è ancora alla ricerca del delantero da affiancare a Llorente. L'unico dorsal disponibile al momento del suo acquisto è il 2, numero che non abbandonerà più e che ben rappresenta la peculiarità del personaggio. L'impatto con la nuova realtà è positivo e fin dalle prime uscite Gaizka si fa apprezzare dal pubblico del San Mamés. Gli bastano due mesi consacrarsi mito biancorosso: schierato titolare il 4 marzo nella semifinale di ritorno di Copa del Rey con il Sevilla, che aveva vinto 2-1 l'andata, segna il gol del definitivo 3-0 che affossa gli andalusi (prima marcatura in biancorosso). La sua esultanza, occhi spiritati e increduli e braccio destro che mima il famoso "you can't see me" di John Cena, diventa leggendaria. Ma è nella finale con il Barcellona del 13 maggio che Gaizka fa sognare un intero popolo: il suo gol di testa su corner di Yeste regala infatti l'1-0 all'Athletic, campione virtuale per quasi un tempo prima del gol di Yaya Touré e del tracollo nella ripresa.
Nonostante la sconfitta il numero 2 si assicura un posto privilegiato nel cuore degli athleticzales, e la sua espressione che sembra domandare "ma davvero sono stato io a segnare?" dopo il gol al Sevilla resta una delle immagini iconiche dell'Athletic nel nuovo millennio. Storicamente i tifosi bilbaini apprezzano l'impegno e il sacrificio per la maglia più del talento fine a sé stesso o comunque non accompagnato dalla sufficiente garra; logico dunque che quell'attaccante sgraziato, dotato di una tecnica appena sufficiente per la Segunda, diventi in pochissimo tempo un idolo della Catedral molto più di Llorente, da sempre stigmatizzato per una certa indolenza. Toquero è il primo a sapere di non possedere minimamente i mezzi per affrontare i difensori della Liga, ed è questa la sua forza. Con un'umiltà rara e a tratti commovente non cerca giocate per lui impossibili e si concentra su quelle due o tre cose che gli riescono, cercando di farle al meglio e di dare tutto per la zurigorri. Le sue corse talvolta insensate contro difensori lontani 15 metri non sono uno spreco di energia o un modo ruffiano per strappare un applauso, anche se spesso lo sembrano; sono il suo modo di contribuire, di dire ai compagni, agli avversari e al pubblico che anche lui c'è, e soprattutto di meritarsi uno stipendio che spesso giocatori col doppio del suo talento si sognano, imprigionati dal caso e dalla crudeltà del sistema calcistico in serie minori e squadre senza soldi.
L'anno successivo si conferma partner ideale di Llorente, col quale in effetti forma una coppia completa: uno corre e l'altro segna, uno si sacrifica e l'altro finalizza il lavoro della squadra. Alcuni arditi osservatori, forse spinti dal vago senso di ingiustizia che si prova nel vedere i due attaccanti giocare insieme (anche a causa dell'evidente disparità a livello di aspetto fisico), si spingono a sostenere che il riojano segni solo grazie alla presenza di Toquero... un assunto giusto un po' azzardato. L'arrivo di Bielsa al timone della squadra segna l'inizio della parabola discendente di Gaiza "Revolución" (così chiamato da José Iraragorri per la sua capacità di entrare e dare tutto per cambiare la partita). Il gioco elementare di Caparros, fatto di lanci lunghi, sponde del centravanti e corse sulle seconde palle, si adattava alla perfezione ai suoi scarsi mezzi tecnici, mentre il 4-3-3 del Loco, che prevede un solo attaccante in grado di dialogare con i compagni, evidentemente non è fatto per lui. Nel primo anno vissuto da riserva di Llorente la sua partecipazione è comunque alta, con 35 presenze e 4 gol, ma l'acquisto di Aduriz nel mercato estivo del 2012 suona come una condanna definitiva. Toquero sparisce dalle rotazioni e viene spesso impiegato solo negli ultimissimi minuti, tranne qualche partita isolata in cui viene impiegato sulla destra (anche con buoni risultati, visto che sa crossare efficacemente in corsa). Le cose non cambiano con Valverde, anzi. Inizialmente Txingurri utilizza il numero 2 come revulsivo, ovvero inserendolo a partita in corso (e spesso quando l'Athletic deve rimontare) sperando in una scossa; col passare del tempo, però, lo spazio si riduce fino a scomparire del tutto. La società prova a cederlo in prestito, tuttavia Gaizka rifiuta il trasferimento e preferisce restare a Bilbao a giocarsi le sue carte. I 46 minuti totali giocati nella stagione 2014/15 parlano da soli. Toquero capisce che non può continuare così, accetta la rescissione consensuale e si accasa all'Alavés, da dove era partito tanti anni prima.
La sua conferenza stampa di addio è stata assolutamente degna di lui: nessuna domanda, solo un breve testo letto prima in euskera e quindi in castigliano, un saluto e l'uscita dalla sala stampa. Toquero ha ringraziato tutti, dai compagni ai tifosi, e le sue non sono sembrate parole di circostanza. L'uomo che si presentò ai primi allenamenti a bordo di una Golf scassata ha detto addio per sempre alla squadra che gli ha cambiato la vita. Tutti, Valverde in primis, hanno sottolineato la sua professionalità e il fatto che la sua assenza nello spogliatoio si farà sentire. Personalmente non nego di aver imprecato spesso nel vederlo sfiancarsi in scatti inutili per poi sbagliare a causa della foga o della mancanza di lucidità, ma ciò non toglie che anch'io abbia apprezzato il suo compromiso totale con la maglia e la sua abnegazione quasi ascetica; insomma, mancherà anche a me.
A poche persone toccano in sorte occasioni come quella che gli capitò sette anni fa, quando giocava nei campi della terza divisione con una maglia neroverde addosso; ma ancora meno sono colore che riescono a non sprecare opportunità del genere. Nel suo caso, dove non è arrivato il talento hanno potuto l'impegno quotidiano e quello spirito combattivo che lo ha sempre fatto andare su ogni pallone, anche il più sgangherato e irraggiungibile. Una metafora che non ha bisogno di essere esplicitata.
Gaizka Toquero è stato il nostro Pietro Rigosi di gucciniana memoria: una locomotiva lanciata a bomba contro l'ingiustizia, i palestrati con tatuaggio tamarro e il calcio dei padroni. Agur, Lehendakari.

martedì 23 giugno 2015

Stagione 2015/16: prospettive zurigorri.


Eneko Boveda, nuovo acquisto dell'Athletic 2015/16.

La nuova stagione è alle porte: il ritiro precampionato è infatti stato fissato per il prossimo 2 luglio, in vista dei preliminari di Europa League di fine mese (andata il 30, ritorno il 6 agosto). Vediamo qual è la situazione, reparto per reparto.

Portieri: Confermati Iraizoz e Iago, anche se non saprei dire al momento quale sarà la gerarchia. Herrerín ha offerto un buon rendimento nell’ultimo spezzone della temporada, finale di Copa compresa, e Valverde potrebbe anche decidere di iniziare il pensionamento di Iraizoz. Kepa Arrizabalaga ha giocato benissimo nel suo prestito in Segunda alla Ponferradina ed è sempre più il numero 1 del futuro; l’anno prossimo verrà ceduto ancora in prestito, stavolta però a una squadra di Primera (Eibar e Rayo sono interessati), in modo da poterne testare le qualità nella massima serie. Il destino di Alex Remiro, autore di un ottimo campionato con il Bilbao Athletic, dipende dalla finale playoff dei cachorros: in caso di promozione resterebbe a Lezama, altrimenti la Segunda B potrebbe andargli stretta.

Difesa: il prolungamento di contratto (con aumento della clausola di rescissione) di Laporte è indubbiamente la miglior notizia per il reparto arretrato; unita all’impossibilità del Barcelona, principale pretendente del francese, di fare mercato fino a gennaio, significa in tutta probabilità almeno un’altra stagione in biancorosso per Aymeric. Etxeita, suo indiscutibile compagno al centro della difesa, verrà chiaramente confermato titolare, con l’inossidabile Gurpegi (che ha prolungato per un anno) prima alternativa. San José sembra infatti essere stato stabilmente riconvertito a mediano, cosa che peraltro invocavo da anni. Il quarto centrale avrebbe dovuto essere Ramalho, reduce da una stagione strepitosa a Girona, che però dovrà star fermo almeno 6 mesi a causa del gravissimo infortunio al ginocchio occorsogli sul finire del torneo e ne avrà per almeno 6 mesi; il rinnovo firmato col club dovrebbe comunque garantirgli un posto tra i 25 della prima squadra, in attesa del pieno recupero. Attenzione a Yeray del Bilbao Athletic: ha disputato una stagione strepitosa e potrebbe tornare utile nelle rotazioni di Valverde.
Per quanto riguarda i terzini, la partenza di Iraola è stata immediatamente compensata dall’arrivo di Eneko Boveda, ex canterano di Lezama, tra i migliori nella non facile annata dell’Eibar. Con De Marcos sempre spendibile come laterale destro, si ventila in questi giorni la promozione dal filial di Iñigo Lekue, ala riconvertita da Ziganda con ottimi risultati (a qualcuno vengono forse in mente dei parallelismi con Andoni?). Bustinza invece non ha convinto e verrà ceduto in prestito. A sinistra ci sarà da sistemare Aurtenetxe, che Valverde continua a non vedere. A competere per la maglia da titolare con Balenziaga, ritenuto da molti uno degli anelli deboli dell’Athletic, più che Monreal (oggetto del desiderio da anni, sembra però che l’Arsenal non voglia privarsene) potrebbe essere Isma Lopez. Sì, proprio quell’Isma che ha con la zurigorri un rapporto alquanto travagliato: prelevato da ragazzino dal vivaio dell’Osasuna, del quale era la stella, arrivò fino al Bilbao Athletic ma non riuscì a fare il salto in prima squadra. Dopo un’esperienza più che positiva al Lugo fu ripreso da Urrutia per rinforzare l’Athletic di Bielsa, al secondo anno a Bilbao, ma dopo un grande inizio si perse e sparì presto dai radar. Trasferitosi a Gijon, ha giocato un primo anno anonimo, quindi è stato provato terzino (lui che nasce attaccante esterno) e ha messo a referto una stagione notevolissima, segnalandosi tra i grandi protagonisti della promozione in Primera della Sporting. Poco fantasioso, carente nel dribbling e troppo monocorde, ha però i polmoni e la diligenza tattica del laterale basso; sarebbe una scommessa, ma al momento le alternative scarseggiano (Saborit ha deluso al Mallorca, Iriondo del Bilbao Athletic è bravo ma ancora acerbo).

Centrocampo: la notizia migliore per Valverde è indubbiamente la rinascita di Beñat, tornato su livelli più che discreti e autore di un finale in crescendo; al numero 7 sicuramente ha giovato l'arretramento della posizione in campo, più da regista (quale lui è) che da trequartista. La vera grana, se così si può chiamare, riguarda Iturraspe: il numero 8 è stato una delle grandi delusioni della stagione, specie dopo le grandissime prestazioni dell'anno precedente che gli erano valse la nazionale, e negli ultimi mesi (complice anche un infortunio) si è visto davvero poco, anche perché San José si è fatto trovare prontissimo nel sostituirlo con profitto; non a caso, nella finale di Copa ha giocato Mikel. Il titolare dovrebbe essere ancora Itu, ma certamente dovrà offrire un rendimento di tutt'altro spessore o rischia di finire ancora in panchina. Mikel Rico è inamovibile, ma per dargli un po' di respiro la società ha deciso di riportare a Bilbao un ex cachorro: si tratta di Javier Eraso, che arrivò a Lezama insieme a Isma López e come lui non riuscì a dare il salto dal Bilbao Athletic. Tesserato dal Leganés, con i madrileni è stato protagonista della promozione in Segunda e si è confermato quest'anno: dotato di grandissime doti fisiche e di buona tecnica, è un mediano atipico per il calcio iberico, un todoterreno più simile ai centrocampisti inglesi "box-to-box" che ai palleggiatori della Liga. Da decidere il destino di Unai López (apparso ancora acerbo), Ager Aketxe (in salita nel finale di stagione) e anche di Iñigo Ruiz de Galarreta, che ha perso la finale promozione con il Real Zaragoza ma è stato comunque tra i protagonisti dell'ottimo campionato degli aragonesi.Almeno due di loro dovrebbero andare in prestito, e se dovessi scommetterci qualcosa direi che saranno Unai e "Galaxy". In questi giorni si parla insistentemente di Iker Undabarrena: probabile che il mediano del Bilbao Athletic si divida tra prima squadra e filial nella prossima temporada.

Attacco: tra i centravanti, come accade ormai da almeno un paio d'anni, si è ben comportato il solo Aduriz, che ha stabilito il suo record di gol in Liga (18) e al quale la squadra deve moltissimo, soprattutto per le reti nel periodo nero. Scontata la sua riconferma al centro dell'attacco zurigorri. Gli altri hanno invece deluso, chi più chi meno: Toquero in pratica non si è mai visto, Kike Sola idem, Guillermo si è fatto male proprio quando iniziava a inserirsi e Viguera ha mostrato un livello inadatto alla Primera "alta". Il lehendakari e l'ex Osasuna partiranno quasi sicuramente, mentre Borja potrebbe rimanere un'altra stagione come punta di scorta. Guille al 99% sarà ceduto in prestito, o addirittura potrebbe tornare al Bilbao Athletic in caso di promozione in Segunda. La penuria di centravanti baschi sul mercato spingerà il club a guardare verso Lezama: uno tra Sabin e Santamaría, grandi protagonisti nel Bilbao Athletic, potrebbe fare il salto (favorito il primo, anche solo per una questione di età).
L'irruzione di Williams ha cambiato le gerarchie delle punte esterne: a destra il titolare è lui, anche se personalmente lo preferisco centrale, e Susaeta dovrà lottare per ritagliarsi uno spazio in linea col suo passato in biancorosso. A sinistra, aspettando il rientro di Muniain dall'infortunio, ci sono Ibai e qualche soluzione alternativa, per esempio De Marcos o uno tra Williams e Susa. Da fuori non dovrebbe arrivare nessuno (Ander Capa dell'Eibar non sembra migliore di chi già c'è), mentre alcuni cachorros potrebbero essere provati in corso d'opera: Jurgi, Seguín e Salinas attendono. Pochissime le possibilità di Guarrotxena di non finire ancora una volta in prestito.

giovedì 4 giugno 2015

Cosa resterà (di questa finale).


Foto Athletic-club.eus.

Quando giochi e perdi contro i marziani, inutile recriminare o tentare di spiegare la sconfitta con argute analisi tecnico-tattiche. Il Barcellona è più forte, il Barcellona ha meritato, il Barcellona ha vinto. Personalmente credo che Valverde abbia sbagliato formazione e che la squadra avrebbe potuto fare qualcosa di più, se non altro sul piano della cattiveria agonistica (che si è vista solo negli ultimi 10 minuti). Ma sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Trovo molto più gratificante pensare a quello che abbiamo vissuto noi tifosi zurigorri in trasferta in Catalunya, anche se siamo tornati ancora una volta a casa a mani vuote. E allora, cosa resterà di questa finale di Copa del Rey 2014/2015?

Resteranno le facce. Tante facce. Facce piacevoli e facce spigolose, come solo quelle basche sanno essere; facce distrutte dalla fatica e provate dalle troppe cañas; facce allegre prima del calcio d’inizio e tristi dopo il triplice fischio finale; facce euskaldunak, italiane, catalane, straniere, bianche, nere, gialle, di ogni luogo e ogni ambiente. Facce della mejor afición del mundo.

Resteranno i fischi. Fischi che hanno coperto totalmente l’inno spagnolo. Fischi che hanno generato polemiche feroci: sull’indipendentismo, sull’eredità del regime franchista, sui limiti della libertà d’espressione. Fischi che ognuno ha interpretato a modo suo: illegittimi, indelicati, sacrosanti, inopportuni, perfettamente legali, meritati, liberatori. Fischi che, piaccio o meno, ci sono stati e ci saranno sempre quando scenderanno in campo quelle due squadre.

Resteranno i gol, bellissimi. La prodezza maradoniana di Messi, chiuso in un angolo da quattro avversari e capace di saltarli tutti come se praticasse uno sport diverso; i sei tocchi di fila prima dell’appoggio facile facile di Neymar; Messi, ancora lui, che prende 3 metri con un solo scatto a Bustinza; e il colpo di nuca di Williams, un segno del destino, la promessa di un nuovo campione sbocciato all’ombra di Lezama.

Resteranno gli antisportivi. I tifosi culé che, pur ospiti nell’Athletic Hiria, si sono messi a sfottere i loro “fratelli” baschi, consapevoli che lì non avrebbero rischiato nulla. E Neymar, uno che si commenta da solo con la sua espressione da bimbominkia perenne; Neymar che, sul 3-0, si permette di irridere l’avversario più in difficoltà, Bustinza, con un giochetto buono solo per le spiagge di Copacabana; Neymar che viene metaforicamente bastonato da Luis Enrique e Piqué, loro sì persone di notevole spessore sportivo; Neymar che deve ringraziare perché non sono più i tempi di Goiko e “Rocky” Liceranzu; Neymar che spero ci riprovi sabato a Berlino, magari con Bonucci davanti.

Resteranno le lacrime. Di vittoria per qualcuno (ma non molti, ché la vera finale per loro è quella del 6 giugno), di sconfitta per tanti, troppi altri. Lacrime disperate color biancorosso, lacrime che versiamo per la quarta volta consecutiva tra Copa del Rey e Europa League. Lacrime amare che, ne sono sicuro, prima o poi diventeranno lacrime di gioia.

Resterà la consapevolezza. La consapevolezza di far parte di una tifoseria stupenda, che a volte si bea anche troppo della propria unicità in detrimento di una sana incazzatura, ma alla quale vogliamo un bene dell’anima proprio per questo. La consapevolezza di poter contare su una curva, una grada popular, estremamente viva e vitale, una grada che merita di più di uno spicchio del nuovo stadio; la coreografia e lo striscione iniziale riempiono il cuore di orgoglio e spingono a dire solo e soltanto grazie a quei ragazzi fantastici. La consapevolezza, infine, di avere una squadra giovane e piena di elementi di talento; una squadra che, in prospettiva, può togliersi quella soddisfazione che manca dal 1984: sollevare un trofeo.

Resterà un video (lo trovate in fondo al post) che rappresenta meglio di tanti discorsi cos’è l’Athletic. Aldilà di ogni retorica spiccia, la finale l’abbiamo davvero giocata tutti. Continueremo a farlo ogni volta, finché il dio del calcio si ricorderà di noi, un giorno, e ci farà alzare quella benedetta Coppa. Ma anche se non dovesse succedere, anche se dovessero passare altri 50 anni senza vincere nulla, l’Athletic resterà sempre com’è, fedele a sé stesso e alla sua tradizione. Perché solo a Bilbao, come ha detto Muniain, è meglio arrivare secondi che vincere.

lunedì 25 maggio 2015

Andoni Iraola, l'essenziale.


Foto Athletic-club.eus.

Riprendo a scrivere dopo un'assenza infinita a causa di vari fattori che mi stanno facendo ripensare sempre più alla formula del blog. In attesa di ulteriori comunicazioni, vi invito a seguire i social network collegati a questa pagina per tutte le ultime notizie (in particolare Facebook, dove pubblico le news sulla squadra).
Torno a scrivere non per raccontarvi della splendida vittoria sul Villarreal, che ci assicura peraltro un posto ai preliminari di EL della prossima stagione, o per presentare la partita di sabato prossimo contro il Barcellona, ma per celebrare degnamente un monumento dell'Athletic degli ultimi 20 anni: Andoni Iraola. La partita di sabato scorso è stata infatti l'ultima delle 406 presenze in Liga del numero 15 con la zurigorri (509 quelle totali, che diventeranno 510 dopo la finale di Coppa del Re del 30 maggio): fra un mese, alla scadenza del contratto, Iraola ci lascerà. La sua destinazione saranno gli Stati Uniti, e d'altra parte solo immaginarlo con un'altra maglia in Spagna sarebbe stato folle. Il suo addio è stato un po' trascurato dai media, visto che è coinciso con quello di Xavi; in Italia credo che la notizia sia stata data con un paio di trafiletti o poco più, come succede praticamente sempre con l'Athletic. Poco male, peccato solo per chi non conoscerà mai la storia di una vera leggenda. Perché essere una bandiera è bellissimo, ma esserlo in una società che raramente è in lizza per vincere qualcosa (e non si parla certo di campionati o Champion's league) ha un valore inestimabile. Facile restare una vita a Barcellona, dove ogni anno si lotta per il massimo; per non muoversi da Bilbao, senza mai mettere in discussione la propria dedizione e la propria appartenenza, servono una tempra e una cavalleria da uomo d'altri tempi.
Andoni Iraola, per l'appunto, uomo d'altri tempi lo è. A cominciare dall'aspetto fisico: nessun tatuaggio, nessuna acconciatura stravagante, nessun segno particolare a rimarcarne la differenza rispetto a compagni e avversari. Sicuramente non bello, distante anni luce dal prototipo del giocatore-modello, ha sempre lasciato che fossero soltanto i suoi tratti spigolosi, baschi al 100%, a raccontarne la storia. Misurato nella gioia e nella sofferenza (sportiva, s'intende), per tutta la carriera ha parlato poco e giocato molto, preferendo sempre il linguaggio del campo alle chiacchiere del dopo gara. E non perché non avesse nulla da dire: le sue dichiarazioni sono sempre state molto più intelligenti della media. Ma Iraola è un uomo fatto di silenzi più che di discorsi, di fatti concreti più che di idee fumose, di semplicità più che di complicazioni.
Quando militava nelle giovanili dell'Athletic, ala destra con poche concessioni alla giocata a effetto, nessuno pensava che potesse arrivare in prima squadra. Allora quel ruolo era appannaggio di un monumento come Joseba Etxeberria e solo pensare di sostituirlo era un sacrilegio, inoltre ai più sfuggivano le qualità reali del ragazzo. Bravo era bravo, ma mancava di quel pizzico di sregolatezza che fa il grande esterno offensivo; era troppo metodico, troppo regolare per accendere la fantasia e alimentare le speranze. Poi al Bilbao Athletic arrivò un giovane allenatore con pochissima esperienza, un certo Ernesto Valverde. Txingurri, che era stato un grande attaccante, vide qualcosa che in pochissimi avevano notato. Arretrò il ragazzino di qualche metro e gli chiese se volesse giocare terzino: lui, come sempre, rispose di non avere problemi. L'anno dopo salì in prima squadra col suo mentore, che lo propose titolare dalla prima giornata: da allora è rimasto su quella fascia per 12 anni, diventando un idolo vero della tifoseria e ritagliandosi uno spazio tutto suo nel Pantheon delle leggende biancorosse. Iraola è stato un fluidificante meraviglioso, uno dei migliori d'Europa per almeno 10 anni e senza dubbio uno dei più grandi di sempre dell'Athletic. Ottimi piedi, visione di gioco eccellente, tempi di inserimento fantastici, dribbling secco, buon tiro, splendido cross: impossibile trovare una falla nel suo bagaglio tecnico. Dal punto di vista difensivo non è mai stato un drago, seppur nel corso del tempo abbia limato la leggerezza originaria nei contrasti e i difetti di posizione dovuti all'impostazione da esterno alto ricevuta a inizio carriera tra Antiguoko (glorioso club giputxi convenzionato con l'Athletic, dov'è cresciuto anche Aduriz) e Lezama. Fin dagli esordi in prima squadra è emersa con forza la sua personalità, mai urlata eppure sempre ben recepita dai compagni. Leader silenzioso ma non per questo meno efficace, ha indossato la fascia da capitano con un'eleganza e un'efficacia pari solo a quelle delle sue discese sulla destra. In condizioni di emergenza ha mostrato una duttilità sconosciuta per la maggioranza dei suoi colleghi, arrivando a giocare come regista nel corso della sciagurata temporada 2006/07, funestata dall'infortunio di Orbaiz e dalla squalifica di Gurpegi; la salvezza di quell'anno si deve anche a una sua straordinaria doppietta ad Anoeta, che valse un 2-0 preziosissimo visto che la Real Sociedad finì per retrocedere con cinque punti in meno dell'Athletic.
Esempio di professionalità e dedizione senza uguali, non si è mai segnalato per comportamenti extra campo inappropriati. Nel corso della sua lunga carriera è stato fortunato a non farsi male in modo serio, cosa che gli ha permesso di issarsi al quarto posto per presenze totali con la maglia dell'Athletic (secondo assoluto dopo Iribar per partite internazionali). Se avesse proseguito per un altro anno, come chiestogli dalla società, avrebbe facilmente scavalcato Etxeberria (terzo con 514 gettoni), tuttavia lui stesso ha spiegato di non essere interessato ai record e di non sentirsi più in grado di offrire il rendimento che ci si attende da chi indossa la zurigorri. Un altro esempio di quale splendido essere umano sia Iraola.
Parlare di Andoni per me non è facile. Stesso ruolo, stessa età (lui è un anno più giovane), l'atteggiamento verso il calcio che amo: in lui ho sempre visto molto più di un semplice giocatore. Un idolo, l'ultimo vero idolo che ho avuto. Dopo di lui non ce ne saranno altri, per disillusione personale e incompatibilità conclamata con il futbol attuale. E aver preso la maglia che lui ha lanciato a Torino, proprio nell'anno del suo addio, è per me più di un segno.
Con l'Athletic non ha vinto nulla ed è probabile che il palmarès non cambi dopo sabato prossimo. Ci è andato vicino (due finali di Copa e una di EL), ma non credo che abbia rimpianti. Sa di aver lottato alla pari contro squadre dove ci sono giocatori pagati quanto l'intera rosa bilbaina, e si è tolto alcune soddisfazioni riservate a pochi. Vincere a Old Trafford, come lui stesso ha dichiarato, la più grande. "Fra 15 anni quella sarà una partita che vorrò rivedere", ha detto il giorno della conferenza stampa d'addio. In nazionale ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato, pagando soprattutto le scelte geopolitiche dei ct: in nessun'altra selezione del mondo Arbeloa sarebbe stato considerato più meritevole di lui. Ha pagato anche la decisione di restare per sempre nella sua squadra del cuore; decisione mai messa in discussione, tanto che non ho memoria di alcuna voce di mercato seria che lo abbia riguardato in questi anni. Il suo stile e la sua classe si sono visti anche nell'ultima partita a San Mamés: dopo ovazioni e applausi da ogni settore, lui è andato a festeggiare con la Herri Harmaila, la grada popular, il settore "caldo" dello stadio. Abbracciato con alcuni membri storici della tifoseria, ha cantato e saltato come un tifoso, come uno di noi.
Se dovessero chiedermi una parola per definire Andoni Iraola, non avrei dubbi: essenziale. Inteso come semplice, certo, ma anche come indispensabile. Essenziale in quanto sostanza stessa del calcio che vorrei, che vorremmo. In un momento storico in cui l'eccesso sembra essere l'unica cifra possibile del reale, un uomo come lui ci mancherà ancora di più. Eskerrik asko, Andoni.

martedì 24 marzo 2015

Iñaki Williams, la perla nera di Lezama.


Williams dopo il primo gol con l'Athletic (foto Uefa.com).

Anima africana e cuore basco. Pelle nera come l’ebano sotto una maglia biancorossa da leggenda. La sua è una storia di speranza, riscatto e fiducia in un futuro multiculturale, nel contesto di una realtà tacciata spesso (e a sproposito) di chiusura mentale, se non direttamente di razzismo.
Iñaki Williams ha un destino diverso da quello di un normale calciatore. È il volto di una nuova era e il peso di questa responsabilità lo accompagnerà sempre. Dovunque andrà, le tifoserie “nemiche” gli ricorderanno che è un basco e per di più “negro”, cercando di esasperarlo e di farlo esplodere. Ogni suo gesto sarà studiato e sezionato dai media, che già adesso lo stanno investendo di una popolarità che potrebbe anche far perdere l'orientamento a un ragazzo di appena 20 anni. Ma Iñaki sembra avere le spalle larghe e un carattere ben diverso da quello di Mario Balotelli, al quale alcuni giornali (in particolare quelli italiani...) hanno già iniziato a paragonarlo. Un confronto insensato sia sul piano squisitamente tecnico che su quello personale. Williams e Balotelli condividono solo due cose, il colore della pelle e le origini ghanesi; per il resto, anche da lontano appaiono due mondi differenti (per fortuna).
Iñaki Williams nasce a Barakaldo, vicino Bilbao, il 15 giugno del 1994. Suo padre, ghanese, e sua madre, liberiana in fuga dalla guerra civile, si sono incontrati e innamorati in un campo profughi nei pressi di Accra, la capitale del Ghana, dal quale sono partiti verso l'Europa in cerca di un futuro migliore. Quando loro figlio è ancora piccolo si spostano a Pamplona per trovare lavoro, tuttavia Felix Williams non ha fortuna e decide di trasferirsi a Londra, mentre il resto della famiglia resta in Navarra. Non sono anni facili, questo è sicuro, ma il piccolo Iñaki ha un talento: gioca bene a futbol. Soprattutto è veloce, velocissimo, e ha un ottimo rapporto con la porta avversaria. Muove i primi passi nel Club Natación, nell'orbita dell'Osasuna, ma grazie alla segnalazione di un osservatore dell'Athletic si trasferisce al CD Pamplona, affiliato dei bilbaini. Iñaki ogni tanto si allena anche a Lezama, tuttavia i responsabili del settore giovanile non sono convinti. Il giovanissimo Williams ha velocità e senso del gol, è vero, ma difetta di tecnica e i tecnici hanno dei dubbi riguardo al suo possibile sviluppo fisico. Il ragazzo resta così sospeso tra Pamplona e Bilbao, finché non viene convocato per un provino a Lezama. È in età juvenil e una decisione sul suo futuro non si può più rimandare: o dentro o fuori. Nonostante le caterve di gol segnati col CD Pamplona, la decisione di inserirlo nel Juvenil de Honor viene presa solo negli ultimissimi giorni del provino. Iñaki ce l'ha fatta: è un giocatore dell'Athletic. Da quel momento il suo cammino è caratterizzato da un'ascesa vertiginosa. Al primo anno in biancorosso segna 31 gol in 31 presenze di campionato, dominato dai ragazzi di Gontzal Suances, più 4 reti in 7 partite di Copa (sconfitta in finale con il Real Madrid). La stagione successiva (2013/2014) viene inserito nella rosa del Basconia, ma dopo 18 presenze, 7 gol e un'operazione al menisco si trasferisce nel Bilbao Athletic, in Segunda B, dove mette a referto 8 reti in 14 apparizioni. Inizia la temporada attuale nel filial e continua a stupire: va a bersaglio 13 volte in 18 partite e si segnala per il livello altissimo delle sue prestazioni. Con la squadra impegnata su tre fronti e l'apporto pressoché nullo di Viguera e Sola, la decisione di Valverde di convocarlo coi “grandi” dopo l'infortunio di Guillermo è giusta e naturale. L'impatto di Williams è clamoroso: pur segnando una sola rete col Torino in EL (anche perché viene utilizzato quasi esclusivamente come ala destra), la freschezza e l'indubbio talento lo rendono un elemento chiave dell'undici titolare nel giro di appena un mese, relegando in panchina un giocatore come Susaeta.
Williams è un diamante ancora grezzo, tuttavia le sue potenzialità ne fanno fin da adesso uno dei giovani più interessanti dell'intera Liga. Rapidissimo ed estremamente agile, quando parte in progressione riesce a raggiungere dei picchi di velocità pazzeschi ed è pressoché inarrestabile in campo aperto, anche perché regge i contrasti come un'ala da rugby e buttarlo giù non per niente semplice. Ho in mente un'azione che spiega alla perfezione il concetto, nella vittoriosa semifinale di Copa contro l'Espanyol. Lanciato in profondità da Iraola, Williams si fionda verso la porta avversaria partendo almeno un paio di metri dietro il difensore più vicino: gli basta allungare la falcata per sfilargli accanto a velocità doppia. Quando l'altro centrale prova a fermarlo con una spallata, Iñaki lo evita con una piccola accelerazione e resiste al tentativo di carica, anche se poi pecca di scarsa freddezza e mette di poco a lato la conclusione (video, minuto 4'22''). Un riassunto perfetto dell'esplosività nel breve e delle doti fisiche non comuni del numero 30. Tecnicamente ha ancora notevoli margini di miglioramento, però sa già regalare dettagli di qualità (come il tunnel d'esterno rifilato a Hemed sabato scorso). Il suo ruolo naturale è quello di prima punta, pur se con caratteristiche diverse dal centravanti-boa alla Aduriz, ma sa disimpegnarsi con naturalezza anche sulle fasce. Avendo raggiunto la quota di partite stabilita per il rinnovo automatico (10 presenze da almeno 45 minuti), ha firmato il suo primo contratto da pro e la sua clausola è passata a 20 milioni di euro.
Williams è sulla bocca di tutti in Spagna. È stato appena convocato per la prima volta nell'under 21 di Celades e ha ricevuto proposte concrete dalle nazionali maggiori di Liberia e Ghana, per le quali potrebbe giocare in quanto paesi d'origine dei genitori. Lui, però, non si sente africano, pur dicendosi estremamente orgoglioso delle proprie radici. Iñaki è basco fino al midollo, e per capirlo basta leggere le sue dichiarazioni (“Soy nacido en el mismo Bilbao, pero los de Bilbao ya sabes que nacemos donde queremos”) o vedere le sue foto di bambino con la divisa da gioco dell'Athletic, cosa che fa ben sperare rispetto al suo futuro nel Botxo. Non è stato il primo giocatore di colore a esordire con la zurigorri (questo onore spetta a Jonas Ramalho, che peraltro sta giocando benissimo a Girona e potrebbe tornare a vestirla il prossimo anno), ma senza dubbio è già un personaggio, con tutti i pro e i contro che questo comporta.
Noi, per quanto poco possa contare, siamo con lui. E aspettiamo il giorno in cui segnerà al Bernabeu, sotto la curva dei fascisti Ultras Sur, o al Calderon, di fronte ai neonazisti del Frente Atlético. Quello che pochi anni fa era solo un sogno, oggi diventa ogni giorno più vicino.


Il piccolo Iñaki con la zurigorri (foto Lainformacion.com).

domenica 8 marzo 2015

26a giornata: Athletic 1-0 Real Madrid.


Iraola omaggiato prima del match per le sue 500 presenze con l'Athletic (foto Athletic-club.eus).

Athletic Club: Iraizoz; De Marcos, Etxeita, Gurpegi, Balenziaga; Beñat, Mikel Rico (91' Toquero); Iraola, Muniain (64' Susaeta), Williams (73' Guillermo); Aduriz.
Real Madrid CF: Casillas; Carvajal, Pepe, Varane, Marcelo; Illarramendi (71' Jesé), Kroos (76' Lucas Silva), Isco; Cristiano Ronaldo, Benzema (80' Chicharito), Bale.
Reti: 26' Aduriz.
Arbitro: Undiano Mallenco (Colegio Navarro).

Ci sono vittorie (meritate o meno), grandi vittorie e imprese. Quella contro il Madrid, campione d'Europa e del Mondo in carica nonché capolista in Liga, appartiene indubbiamente al terzo gruppo. Non tanto per la caratura dell'avversario, comunque eccezionale, ma per come è arrivata. L'ultimo successo dei Leoni contro i blancos risaliva a 5 anni fa (16 gennaio 2015, Athletic- Real Madrid 1-0), ma allora si trattò di un mezzo furto: la squadra di Caparros passò in vantaggio dopo 2 minuti con Llorente, di testa su corner di Yeste, dopodiché passo il resto del match trincerata nella sua metà campo, rinunciando del tutto ad attaccare (sparacchiare palloni in avanti a caso non conta) e sperando nella buona sorte per sfangarla.
Ieri, invece, è stata tutta un'altra storia. Gli zurigorri hanno interpretato il primo tempo nel solco della prestazione di Copa contro l'Espanyol: pressing altissimo, voglia di arrivare sempre prima sulla palla e tanta qualità nel palleggio e nella manovra offensiva. Valverde finalmente ha risolto il nodo tattico della stagione, il trequartista: Muniain in quella posizione, e anzi libero di svariare sul fronte di attacco a suo piacimento (motivo per il quale molti giornalisti vedono l'Athletic schierato con un 4-4-2 a parer mio inesistente), ha tutto per consacrarsi definitivamente. L'inserimento in pianta stabile di Williams ha dato freschezza e fisicità alla fascia sinistra, mentre il nuovo assetto di quella destra (Iraola esterno alto e De Marcos terzino), sperimentato al Cornellà, anche ieri si è rivelato molto interessante: Andoni è dotato di una sapienza tattica e di un senso del gioco tali da poter essere efficace in ogni posizione del campo, e partendo davanti a De Marcos è in grado di dare quella "pausa", come dicono in Spagna, tipica dei centrocampisti centrali e che a destra permette a Oscar inserimenti devastanti da lontano. Il Madrid, ingabbiato dalla disposizione degli uomini di Valverde, per lunghi tratti è stato incapace di uscire in modo pulito dalla propria trequarti e in avanti non si è praticamente mai visto, mentre in difesa ha sofferto tantissimo e ha incassato il meritato gol biancorosso al 26'. L'azione, splendida, si è sviluppata sulla destra: la combinazione tra Iraola e De Marcos ha aperto il campo e fatto arretrare la linea difensiva delle merengue praticamente nella propria area, liberando la trequarti per l'inserimento di Mikel Rico; il cross del numero 17, tagliato e preciso, ha premiato il taglio diagonale di Aduriz, che poi ha girato splendidamente di testa spedendo il pallone sotto l'incrocio alla sinistra di Casillas. Un gol meraviglioso. L'Athletic ha contenuto la blanda reazione del Madrid fino al 45', trovando in Etxeita un baluardo assoluto, mentre nella ripresa la musica è cambiata. I madridisti hanno alzato ritmo e baricentro e hanno occupato quasi militarmente la metà campo avversaria, tuttavia gli zurigorri non si sono disuniti e, pur soffrendo, hanno continuato a difendersi con ordine senza rinunciare a farsi vedere davanti. Il reparto arretrato ha offerto in questa fase del match un rendimento esemplare: puntuali i terzini nelle diagonali, attenti e duri i centrali, efficace in ogni intervento il portiere. Iraizoz va lodato per due uscite salva-risultato su Benzema e Ronaldo, anche se nel finale ha rischiato di farsi battere da un cross sballato di Bale da 30 metri (per fortuna ci ha pensato San Palo). I Leoni hanno tirato poco, ma quando lo hanno fatto hanno rischiato di raddoppiare con Aduriz (palo anche per lui). Quando Undiano Mallenco ha fischiato la fine, lo stadio (finalmente all'altezza, troppe volte quest'anno il silenzio l'ha fatta da padrone) è esploso: campioni di tutto a casa, battuti, e Athletic per un pomeriggio sul tetto del Mondo calcistico.
Sicuramente adesso si sprecheranno i commenti del tipo "se solo avessimo giocato così tutto l'anno...", commenti che prevengo con un paio di obiezioni. Numero 1: l'Athletic non ha (e non avrà mai) una rosa in grado di competere ai massimi livelli in tre competizioni. L'anno delle due finali di Bielsa in Liga la squadra mollò a marzo, arrivando comunque svuotata di energie a maggio. La nostra filosofia è nota, applicarla mantenendo la massima categoria in uno dei migliori campionati del globo è la nostra vera vittoria. Numero 2: la preparazione, a parer mio, è stata completamente sbagliata. Dopo il preliminare col Napoli i giocatori si sono afflosciati e nelle partite del girone di Champion's hanno mostrato una condizione da fine temporada. Ora la gamba è tornata e i risultati si vedono. Speriamo di arrivare così all'appuntamento con la storia del 30 maggio. Numero 3: quando i risultati non arrivano, quando partite abbordabili vengono perse a causa di errori banali, quando la classifica si fa preoccupante, la tenuta mentale di un gruppo viene messa a dura prova, tanto più quando il gruppo stesso è formato da tanti giovani e giovanissimi. A un certo punto della stagione tutti abbiamo temuto di dover lottare fino all'ultima giornata per la salvezza, dunque essersi ripresi (fatto non banale) costituisce già un bel risultato. Al quale si aggiunge la 38a finale di Coppa del Re, non proprio bruscolini. Insomma, l'Athletic c'è. E ieri lo ha ribadito per l'ennesima volta, proprio di fronte alla squadra più forte e titolata del pianeta. Scusate se è poco.

Le pagelle dell'Athletic.
Iraizoz 6,5: praticamente inoperoso nel primo tempo, nella ripresa viene chiamato più volte all'intervento risolutivo. Sicuro su Isco, è bravissimo a scegliere il tempo giusto nell'uscita su Benzema e addirittura si supera su Ronaldo, la cui conclusione quasi dal dischetto viene stoppata dal navarro con la mano destra. Mezzo voto in meno per la dormita sul cross sbagliato di Bale che per poco non lo beffa.
De Marcos 7: non mi ha mai convinto nella posizione di terzino destro, ma va detto che con Iraola davanti sembra un altro. Più sicuro in difesa grazie ai raddoppi puntuali del numero 15, Oscar è libero di scatenare tutto il suo devastante potenziale di corsa quando si distende in avanti, risultando inarrestabile se ha campo per lanciarsi verso il fondo. È lui ad allargare la difesa del Madrid e a servire Rico nell'azione del gol. Positivo.
Etxeita 8,5: a parer mio il migliore in campo. Semplicemente strepitoso per tutto il match, controlla benissimo Benzema in tandem con Gurpegi ma è sugli inserimenti degli altri madridisti che dà il meglio di sé. Respinge almeno tre o quattro conclusioni pericolose e salva la situazione con un paio di chiusure che valgono quanto un gol. Al momento è il nostro miglior centrale. MVP.
Gurpegi 7: il vecchio leone ruggisce ancora. Non avrà più l'età (e le ginocchia, ahilui) per giocare ogni tre giorni, eppure dopo la grande partita contro l'Espanyol fa il bis di fronte a uno dei tridenti più forti del mondo. La brutta prestazione col Toro a qualcuno era sembrata il mesto congedo del capitano di mille battaglie, ma Carlos ancora non vuole appendere le scarpe al chiodo. Per fortuna.
Balenziaga 7,5: spesso criticato per la scarsa qualità e qualche buco difensivo di troppo, Mikel mette in mostra il meglio del suo repertorio contro il Madrid. Attento in difesa e propositivo quando sale, si merita più di un applauso per la generosità assoluta con cui affronta avversari di un'altra categoria. Salva la patria e il risultato con una diagonale (e relativa scivolata) provvidenziale su Benzema, servito da Ronaldo per un comodo tap-in dentro l'area piccola. Soldatino.
Mikel Rico 7,5: è un giocatore eccezionale, con un'intelligenza calcistica pari solo alla capienza dei suoi polmoni. Nonostante abbia piedi più delicati rispetto a un mediano standard, corre come un mulo e sa cantare e portare la croce come nessun altro in squadra. Tampona, ruba palla, si fa vedere per dare un appoggio facile ai compagni, raddoppia, si inserisce: è ovunque e sempre con grande efficacia. Suo l'assist per Aduriz (dal 90' Toquero s.v.).
Beñat 8: talvolta le insistenze degli allenatori sono incomprensibili. Valverde ha passato un anno e mezzo cercando di tarsformare un regista dotatissimo in un trequartista, ricevendo in cambio prestazioni sconfortanti e quasi perdendo un elemento di qualità. Vorrei che qualcuno mi spiegasse l'utilità di prendere Illarramendi, ieri un fanatsama, quando in rosa c'è un centrocampista con la classe e i tempi di gioco di Beñat. Ieri semplicemente splendido (non ha perso un pallone uno in transizione offensiva), l'ex Betis ha fatto vedere di cosa è capace se viene messo nel suo ruolo. Ritrovato.
Iraola 8: sarei tentato di dargli 502, come le sue partite ufficiali in maglia biancorossa. Un giocatore del genere nasce una volta ogni 30 anni e sarà impossibile sostituirlo quando si ritirerà. La mossa di Valverde di schierarlo ala potrebbe regalargli un finale di carriera più lungo del previsto: non corre più come quando aveva 20 anni, è chiaro, ma lo fa sempre in modo estremamente intelligente e la sua capacità di gestire la sfera è fondamentale quando l'Athletic deve avanzare. Marcelo contro di lui ci ha capito pochissimo. Clonatelo.
Muniain 7: un altro rigenerato dal cambio di ruolo. Sulla sinistra si stava intristendo, lontano dal gioco e dalla porta, mentre da quando è accentrato è un giocatore diverso. Libero di svariare e muoversi alle spalle di Aduriz, è un pericolo costante per la difesa avversaria e con le sue accelerazioni può mettere in difficoltà chiunque. Se inizia a tirare può veramente fare il salto di qualità. Stanco, esce dopo un'ora (dal 64' Susaeta 6,5: sta trovando poco spazio ultimamente, ma quando entra gioca bene. Non spreca palloni e prova un paio di azioni interessanti. Atteggiamento giusto per uscire dal suo momento-no).
Williams 8: partita clamorosa del classe '94 bilbaino, giocatore che ha tutti i mezzi per diventare un crack europeo nel giro di poche stagioni. Velocissimo e tecnico quanto basta, quando parte c'è sempre la sensazione (tipica dei calciatori di livello) che stia per accadere qualcosa. Dicono che sia un ragazzo serio e desideroso di migliorare: vederlo rincorrere gli avversari e chiudere un paio di volte in scivolata nella sua area conferma queste indicazioni. Lasciamolo crescere tranquillo, perché potrà regalarci tanto in futuro (dal 73' Guillermo 6: impatto discreto, si sacrifica sulla fascia ma non si nasconde. Altro ragazzo più che interessante, peccato solo per quell'infortunio che lo ha tolto di mezzo quando stava iniziando a mostrare belle cose).
Aduriz 8: Tre palloni giocabili. Tre colpi di testa. Una palla fuori non di molto, un gol superlativo, un palo. Sinceramente, non so cosa debba fare di più un centravanti. Se il buon vino migliora invecchiando, Aritz al momento vale quanto una bottiglia di Chateau Lafite del 1800. Prima o poi bisognerà pensare di trovargli una valida alternativa, ma finché gioca così... Infinito.

giovedì 5 marzo 2015

Ritorno della semifinale di Copa del Rey: Espanyol 0-2 Athletic.


L'Athletic è in finale! E la sua gente festeggia (foto @AthleticClub).

RCD Espanyol: Pau; Arbilla, Álvaro, Moreno, Fuentes; Cañas, V. Sánchez, Lucas (69' Salva Sevilla), V. Álvarez (48' Caicedo); Sergio García, Stuani.
Athletic Club: Iago Herrerín (66' Iraizoz); De Marcos, Gurpegi, Etxeita, Balenziaga; San José, Mikel Rico; Iraola, Muniain (83' Beñat), Williams (90' Laporte 90); Aduriz.
Reti: 13' Aduriz, 42' Etxeita.
Arbitro: Martínez Munuera (Valencia).

Ci vuole carattere per riuscire a rovesciare una stagione storta. E se l'Athletic ha una caratteristica innata nel proprio DNA, che sembra trasmettersi di generazione in generazione a prescindere da chi ne indossa la camiseta in un dato momento, questa è proprio la garra: la grinta, la cattiveria agonistica, il coraggio di affrontare ogni sfida a testa alta. Il carattere, insomma.
Ieri la partita non l'hanno vinta il gol di Aduriz, le invenzioni di Muniain, le parate di Iago, il filtro di San José o le chiusure di Gurpegi. O, per meglio dire, non l'hanno vinta solo le prestazioni enormi dei giocatori. In primo luogo l'ha vinta la garra. La furia con cui i Leoni sono entrati in campo è stata esemplare: per quasi mezz'ora l'Espanyol non ci ha capito nulla, tra pressing altissimo, raddoppi continui e la caccia ossessiva alle seconde palle. La chiave del match, in fondo, è stata tutta qui: i padroni di casa sono entrati in campo pensando di vivacchiare sull'1-1 del San Mamés, convinti che prima o poi avrebbero trovato il pertugio giusto per colpire in contropiede; gli zurigorri, invece, non hanno fatto calcoli, ma hanno aggredito partita e avversari come se non vi fossero alternative. Interessante, in tal senso, la mossa di Valverde di schierare De Marcos terzino e di avanzare Iraola come ala, utile per sfruttare la sapienza tattica di Andoni e l'esuberanza fisica di Oscar, pericolosissimo quando sale lanciandosi da lontano. Il gol di Aduriz è stato esemplare dell'atteggiamento dei bilbaini: sulla palla dentro di De Marcos, respinta corta, Aduriz si è avventato per primo sulla sfera, ha controllato e ha segnato con un diagonale chirurgico alla sinistra di Pau. Trovato il gol, indispensabile ai fini della qualificazione, l'Athletic non ha mollato di un centimetro e ha continuato a premere, senza creare occasioni ma tenendo comunque lontano l'Espanyol dalla propria area. L'unica occasione vera per i pericos è arrivata a causa di un retropassaggio errato di Balenziaga che ha servito involontariamente Stuani, sul cui tiro Iago è stato provvidenziale. Intorno al 30' i biancorossi sono calati, ma non si sono mai disuniti in difesa e hanno addirittura trovato il raddoppio con Etxeita, splendido nell'inserimento in occasione del corner di Iraola.
La ripresa è stata una lunga agonia per l'Espanyol, che avrebbe dovuto segnare 3 reti per qualificarsi. Troppo per la squadra di Sergio González, nonostante l'inserimento di un Caicedo propositivo e pericoloso (sua l'occasione più ghiotta, un tiro sfiorato da Iago e terminato sul palo). I Leoni hanno controllato e avrebbero anche potuto dilagare in contropiede, ma Williams (male nel primo tempo, meglio nel secondo) e Gurpegi non sono riusciti a siglare la rete di un 3-0 che avrebbe punito oltre i suoi demeriti i biancoblu di Barcellona.
Siamo in finale, dunque. Contro un altro club di Barcellona, "leggermente" più forte dell'Espanyol, per la terza volta consecutiva (nel 2009 e nel 2012 non finì bene per noi). I blaugrana di Luis Enrique non saranno la squadra monstre di Pep Guardiola, tuttavia restano di un altro livello. Poco importa: nessuno parte battuto e la voglia di fare la storia è palpabile. Sarà la trentottesima finale per l'Athletic (anche se la LFP ci riconosce 37 finali e 23 successi invece di 24, non considerando la vittoria del nostro antenato Club Bizkaia), la terza negli ultimi sette anni: il segno di una continuità significativa dopo la lunghissima assenza dall'ultimo atto della Copa tra 1985 e 2009. Con la vittoria di ieri Valverde ha riscattato l'eliminazione in semifinale col Betis del 2005, uno dei suoi maggiori rimpianti sportivi; peccato che nell'ultimo atto non ci sia ad attenderci l'Osasuna, come sarebbe stato se avessimo vinto quella maledetta serie di rigori di 10 anni fa. Ma il passato è passato, mentre il futuro resta tutto da scrivere. Intanto, per le emozioni che sono stati capaci di regalarci dopo le tante delusioni patite quest'anno, a lui e ai suoi ragazzi dobbiamo dire solo una cosa: eskerrik asko, mutilak!

lunedì 2 marzo 2015

25a giornata: Eibar 0-1 Athletic.


Gurpegi esulta dopo il gol vittoria (foto Athletic-club.eus).

SD Eibar: Jaime; Boveda, Añibarro, Raul Navas, Lillo (46' Didac); Errasti, Dani Garcia (66' Saul); Capa, Arruabarrena, Manu del Moral; Piovaccari (66' Javi Lara).
Athletic Club: Iraizoz; De Marcos, Gurpegi, Etxeita, Balenziaga; San José, Mikel Rico; Williams (75' Iraola), Muniain, Ibai (82' Susaeta), Guillermo (62' Aduriz).
Reti: 36' Gurpegi.
Arbitro: Teixeira Vitienes (Cantabria).

Ci voleva una vittoria per dimenticare l'eliminazione dall'Europa League e la vittoria, per fortuna, è arrivata. L'Eibar attuale, bisogna sottolinearlo, non è certo irresistibile: la squadra di Garitano era infatti reduce da quattro sconfitte consecutive, divenute cinque dopo lo 0-1 nel derby di ieri, e sinceramente mi sembra piuttosto a rischio, specie ora che ha finito la benzina di inizio stagione. È comunque un risultato che dà morale in previsione della prossima partita, senza dubbio la più importante dell'anno: la semifinale di ritorno di Copa contro l'Espanyol. Positivo, inoltre, il ricorso all'impiego di una linea offensiva quasi da squadra Primavera: tra il '94 Williams, il '93 Guillermo e il 92' Muniain, il venticinquenne Ibai ha fatto la figura del veterano di mille battaglie.
A livello di gioco si è visto un Athletic piuttosto solido, spaventato solo un paio di volte dalle iniziative di Manu del Moral (l'unico degli armeros realmente pericoloso) e sempre in pieno controllo del match; unica pecca, la solita incapacità di finalizzare le molte azioni create, specie in un secondo tempo nel quale gli spazi per far male di rimessa non sono mancati. Un paio di buonissimi interventi di Jaime e una netta imprecisione nell'ultimo passaggio hanno impedito di segnare il gol della sicurezza, tuttavia la prova dei Leoni è stata ampiamente sopra la sufficienza. In particolare, Muniain ha confermato di muoversi molto bene come trequartista centrale, un ruolo dove potrebbe trovare la consacrazione che finora gli sta sfuggendo; più nel vivo del gioco rispetto a quando gioca sulla fascia, sa lasciare il segno con le sue accelerazioni e ha una buona visione dei movimenti dei compagni, anche se deve sensibilmente migliorare nelle tempistiche di passaggio. Williams ha ribadito di possedere numeri da giocatore vero, mentre Guille (al rientro dopo due mesi di stop) si è mosso bene e ha sfiorato la rete in un paio di occasioni, per poi calare fisiologicamente nel secondo tempo. Uno sguardo anche ai giocatori dell'Eibar nel mirino bilbaino per la prossima stagione: Boveda, arrivo pressoché sicuro a parametro zero, è stato tra i migliori dei suoi e ha controllato bene Ibai, mentre Ander Capa in avanti non si è visto.
Un applauso va tributato a capitan Gurpegi, match-winner col suo bel colpo di testa (molto bello lo schema utilizzato nell'occasione: angolo battuto con palla a terra per De Marcos, appostato poco distante dal vertice destro dell'area di rigore, cross immediato sul secondo palo e rete): non era facile riprendersi dopo il brutto errore di giovedì scorso, decisivo ai fini della sconfitta col Toro, ma il capitano ha dimostrato per l'ennesima volta di avere una forza mentale senza pari. Felicità anche per il traguardo raggiunto da Iraola: entrando ieri a 15' dalla fine, Andoni ha collezionato la sua 500a presenza ufficiale con la zurigorri e si è issato al quarto posto assoluto nella classifica dei fedelissimi dell'Athletic (e il terzo gradino, occupato da Etxeberria, dista solo 14 partite). Un traguardo straordinario per un giocatore fantastico, che ha sempre dato tutto per la maglia biancorossa ed è un esempio clamorosa di serietà e professionalità. Mai sopra le righe, ha sempre preferito far parlare il campo: e il campo ha parlato, eccome. Quando esordì con la nostra maglia, nessuno gli avrebbe pronosticato una carriera del genere. Zorionak ta eskerrik asko, Andoni!