Caparros 7: accolto come salvatore della patria, quasi messo in discussione a metà anno, risorto a marzo e confermatosi allentore di razza a fine torneo. Questa è stata, in poche parole, la stagione di Joaquin Caparros da Utrera, che, a conti fatti, ha raddrizzato in primavera una stagione che stava procedendo a fatica tra risultati altalenanti e un gioco mai pienamente convincente. Supportato da un mercato estivo assai frizzante, Caparros si è presentato al pubblico bilbaino con un precampionato eccellente, nel quale ha spiccato senza dubbio il 3-0 rifilato alla Fiorentina davanti a un San Mamés in brodo di giuggiole; il campionato, si sa, è comunque un'altra storia, e i Leoni fino a marzo non sono proprio riusciti a carburare. A Jokin (così è stato ribattezzato dai tifosi baschi) va riconosciuto il gradissimo, enorme merito di aver restituito da subito solidità difensiva ad una squadra che, nelle ultime due stagioni, era stata praticamente sotterrata di gol dagli avversari; felici, in tal senso, gli acquisti di Ocio e Iraizoz, tuttavia al mister va il merito di aver puntato con convinzione su Amorebieta (e, in seconda battuta, su Ustaritz) e soprattutto di aver impostato una tipologia di gioco nella quale tutti i giocatori partecipano alla fase di non possesso e aiutano i quattro difensori canonici, pressando in modo aggressivo e concedendo pochi spazi all'impostazione altrui. E' questo il Calcio (con la c maiuscola) dell'utrerano, un calcio con pochi fronzoli, sparagnino ma non catenacciaro nel senso bieco del termine, altamente agonistico e con poche concessioni all'avversario. Il rovescio della medaglia è stato rappresentato dalla fase offensiva, mai pienamente convincente fino a primavera; Caparros è convinto fautore di un 4-4-2 con due centrali più di rottura che di impostazione, due ali classiche, un centravanti-boa e una seconda punta a muoversi su tutto il fronte d'attaco e non ha esitato a proporre questo schema anche a Bilbao, trovando però più difficoltà del previsto in fase di manovra. Per farla breve: l'Athletic sapeva come muoversi e attaccare gli spazi in contropiede, mentre non aveva idea o quasi di cosa fare con la palla quando si trovava ad attaccare difese schierate. Il risultato è stato l'incredibile differenza tra rendimento casalingo e rendimento esterno, con l'ago della bilancia ovviamente dalla parte di quest'ultimo; in trasferta, infatti, ai biancorossi è bastato giocare di rimessa per ottenere risultati ottimi (su tutti il 3-0 del Mestalla, vera partita-gioiello della stagione), mentre in casa hanno fatto una fatica tremenda anche con avversari osceni come Murcia e Levante. I motivi di tale difficoltà, a parer mio, hanno una duplice causa: da una parte la "forma mentis" caparrossiana, assolutamente mediocre quando si parla di un'impostazione che esuli dal ribaltamento rapido dell'azione e dalle transizioni veloci verso l'attacco (due cose che Jokin sa insegnare come pochi altri); dall'altra, l'annata così così di alcuni elementi chiave, in particolare David Lopez, Orbaiz e Yeste, ovvero l'ala destra, il regista e il "crack" della squadra. L'ex Osasuna ha reso spesso la fascia destra un ricettacolo di giocate banali e assai poco pericolose, Don Pablo è stato a dir poco appannato in regia e Fran ha rappresentato il maggior dilemma tattico del mister di Utrera, che lo ha proposto in vari ruoli (trequartista centrale, mediano, ala sinistra) senza mai ricevere risposte del tutto soddisfacenti dal numero 10. Nella seconda parte di stagione, l'esplosione di Javi Martinez, libero dai compiti puramente difensivi che aveva come scuderio di Orbaiz, la conferma di Susaeta, la riscoperta del jolly Garmendia e, soprattutto, il miglioramento notevole di Llorente sotto porta hanno dato a Caparros le chiavi che cercava per dare uno straccio di manovra ai suoi, per troppo tempo ancorati al "pelotazo" dalle retrovie alla ricerca dell'ariete.
Gioco offensivo a parte, l'aspetto che più ha lasciato interdetti gli appassionati di Athletic è stato il calo inspiegabile della squadra nei secondi tempi (soprattutto in casa), problema che ha tormentato i biancorossi praticamente per tutta la stagione. Primo tempo a tutto gas, ripresa a dieci all'ora: perché? Non regge l'ipotesi della scarsa tenuta fisica, visto il ripetersi del fenomeno per tutta la stagione (anche nei momenti di maggior forma), e non mi convince nemmeno l'idea di un calo di concentrazione dopo le belle prestazioni viste in molti primi tempi...a parer mio, l'Athletic molto spesso ha avuto il "braccino", ovvero ha visto la vittoria a portata di mano e non è riuscito a coglierla proprio per la paura di vincere, chiara eredità lasciataci da due stagioni balorde vissute a strettissimo contatto con l'incubo della retrocessione. Questione psicologica, dunque? Credo di sì, e non è un caso che i suddetti cali si siano diradati man mano che la squadra mostrava miglioramenti di gioco e inanellava risultati positivi in serie, salvo tornare a fine campionato anche a causa della stanchezza di molti elementi della rosa (emblematico, in tal senso, il 4-1 rimediato all'ultima giornata in casa del Siviglia).
Devo dire la verità, a un certo punto della stagione, tra dicembre e febbraio, quando i risultati non arrivavano e la posizione di classifica dei Leoni era del tutto simile a quella dell'anno scorso, ho avuto dei dubbi su Caparros. Ho dubitato, lo ammetto, e sono arrivato molto vicino a credere che non fosse lui il tecnico ideale per risollevare i nostri amati colori; le difficoltà di manovra, i cali nei secondi tempi e certe scelte di formazione un po' cervellotiche mi avevano un po' impaurito, ma devo dire che il bilancio finale sull'operato di Jokin non può che essere ampiamente positivo. Trovatosi a dovere gestire una squadra reduce da due stagioni disastrose, il mister ha innanzi tutto ridare fiducia e scurezza all'ambiente, mettendoci forse più di quanto lui stesso credesse ad agosto, e solo dopo aver ricostruito gli equilibri interni ha potuto concentrarsi sul gioco e sul rendimento generale dei suoi. Buona la scelta di puntare su un gruppo ristretto di giocatori, operazione con cui l'utrerano ha dato alla squadra un'ossatura stabile e ben definita, ha responsabilizzato i più giovani e ha messo da parte alcuni elementi ai limiti dell'inguardabilità (Exposito, Murillo e Casas su tutti).
In definitva, direi che il nostro tecnico si è meritato un bel voto. La società lo ha chiamato per risanare, uscire dai bassifondi della Liga e porre le basi per un futuro migliore: la prima parte del piano è stata completata, adesso lo aspettiamo per la stagione della conferma, quella che, nei progetti del club e nei sogni di noi tifosi, dovrebbe far tornare l'Athletic al ruolo che gli compete.
complimenti per il blog, è sempre bello leggere di tifosi di squadre estere!
RispondiEliminaio ho un blog sulla Dinamo Mosca
http://fcdynamomoscow.blogspot.com/
mi farebbe piacere che tu venissi a visitarlo, e magari lo aggiungessi ai tuoi link, per dargli visibilità...se ti piace.
Danny
Ciao! certo che Cruijff è un giocatore di cui ci si può innamorare..come darti torto..quella maglia biancorossa col 14 è davvero storica!
RispondiEliminasono molto contento di fare uno scambio di link con il tuo, curatissimo, blog!
VAI JOKIN!
RispondiEliminaAupa Athletic
Piero